Venerabile Francesco Antonio Marcucci, educatore[1]

Maria Paola Giobbi – www.monsignormarcucci.com

Francesco Antonio nacque a Force, un paese collinare in provincia di Ascoli Piceno, il 27 novembre 1717, in una bella abitazione isolata dal paese tra il verde delle campagne. Era sabato, giorno dedicato alla devozione della Vergine Santa.

Il padre, l’avvocato Leopoldo, apparteneva a una nobile e religiosa famiglia ascolana, mentre la madre, Giovanna Battista Gigli, di umili origini, proveniva da Iesi (AN).

A quel tempo non era consentito a un nobile sposare una ragazza di rango inferiore. Leopoldo Marcucci contravvenne alla regola per dare una discendenza alla sua famiglia che rischiava di rimanerne priva, appurata la sterilità della cognata, contessa Francesca Gastaldi. Fu costretto, però, a sposare in segreto, nella sua parrocchia di Santa Maria Inter vineas,l’amata “damigella di famiglia”.

Quando il signor Leopoldo si accorse che la giovane sposa era incinta, per lasciarla tranquilla, si trasferì con lei a Force, dove già da alcuni mesi svolgeva la professione di Pretore. Si stabilirono in un palazzo, offerto forse da amici, in contrada Colle Riccardo, oggi San Giovanni. Il bambino fu battezzato lo stesso giorno della nascita da don Angelo Acciaioli, nella chiesa priorale del paese, dedicata a san Paolo. Fecero da padrini il notaio Domenico Valenti e la vedova Santa Laureti Brunetti, che abitava nella contrada di Colle Riccardo.

Il ritorno ad Ascoli e l’infanzia

Pochi mesi dopo la nascita del bambino, Leopoldo Marcucci tornò ad Ascoli con la moglie, dove furono ben accolti dalla nonna paterna DiocleziaSoderini e dagli zii che abitavano nel palazzo di famiglia, situato nel cuore della città. Il bambino crebbe serenamente circondato dall’affetto dei familiari che lo educarono alla fede e alla pratica della vita cristiana. Come in molti palazzi nobili del tempo, anche in quello di Francesco Antonio c’era una cappellina per pregare e in casa tanti quadri che raffiguravano la vita di Gesù, di Maria SS. ma e di altri santi, come sant’Emidio, san Francesco e sant’Antonio.

Quando a sette anni Francesco Antonio ingoiò un ago e i medici non potevano fare nulla per salvarlo, i suoi familiari fecero un voto a sant’Antonio di cui erano molto devoti e guarì.

Il fanciullo ricorda che a cinque anni, mentre si trovava nella proprietà di famiglia ad Ancarano, andò con la zia Francesca e con altri di casa a sentire la predica del grande missionario p. Antonio Scaramelli e qui conobbe Tecla Relucenti, che cominciò ad ammirare per la sua bontà e pietà. Il 10 giugno 1725, solennità di Pentecoste, ricevette il sacramento della Cresima e della Prima Comunione nella chiesa di San Lorenzo Martire a Montedinove, un’antica cittadina poco distante da Ascoli.

Papà Leopoldo gli trasmise una tenera devozione all’Immacolata e quando nell’aprile 1731 morì la sua giovane mamma, si affidò alla Madonna come a tenera Madre. Con l’amico Ignazio Matteucci, approfondì la conoscenza della Madre di Gesù frequentando le lezioni del Padre Lorenzo Ganganelli, futuro papa Clemente XIV, nel convento di san Francesco di Ascoli. A quei tempi non c’erano scuole pubbliche per i ragazzi. Francesco Antonio studiò a casa con un precettore che gli era poco simpatico. Imparò il latino e il greco e lesse, anche da solo, le opere classiche.

La svolta della vita e il sacerdozio

Francesco Antonio era un ragazzo intelligente e socievole: aveva tanti amici. Durante il carnevale del 1735, nel suo 18° anno, si divertì forse più del dovuto. Tornato a casa, mentre gli ultimi rumori si attutivano, sentì un grande vuoto. Entrò nella cappellina e incontrò lo sguardo dolce e intenso della madre di Gesù: comprese che il divertimento banale e superficiale non potevano riempirgli il cuore, decise di spendere tutta la sua vita per Gesù, facendo conoscere, specie ai più poveri, il suo amore e la sua gioia.

Chiese consiglio al suo direttore spirituale, si confessò e si preparò a consacrarsi per sempre a Dio per le mani di Maria. Il 25 luglio 1735, nella chiesa di S. Giacomo ad Ascoli Piceno, Francesco Antonio fece voto perpetuo di castità. Fu un gesto molto generoso e coraggioso, perché i suoi familiari, che pure lo avevano educato alla fede, lo sognavano brillante avvocato e discendente del casato, essendo l’unico erede.

A settembre, fece con due amici un pellegrinaggio a piedi al santuario della Madonna di Loreto per rinnovare il suo Sì a Dio e affidarlo alla Vergine santa.

Tornato a casa, con l’aiuto della zia Francesca, riuscì ad ottenere dal padre e dallo zio il permesso di diventare sacerdote.

Cambiò gli argomenti dei suoi studi. Gustò la sacra Scrittura, i Padri della chiesa e le vite dei santi. Gli sembrava di vivere un’altra vita. Quei contenuti spirituali, soprattutto l’esempio dei santi predicatori, gli fecero nascere nel cuore il desiderio di condividere agli altri ciò che stava imparando e gli riempiva il cuore di luce e di calore. Vinse ogni timore, chiese il permesso al parroco della sua parrocchia di Santa Maria intervineasdi fare catechesi e di predicare ai fedeli.

Il gradimento dei parrocchiani fu tale che lo incoraggiò a proporsi ad altri parroci della città per diffondere e spiegare la parola di Gesù, i misteri della sua vita legati a quella di Maria e di san Giuseppe e a proporre l’esempio dei santi. Parlava con chiarezza, semplicità e profondità. Spesso intercalava le spiegazioni con canzoni sacre e ritornelli che componeva lui stesso per rendere gradevoli e utili i suoi discorsi. La gente lo ascoltava volentieri e si sentiva arricchita dalle sue parole e dalla sua testimonianza generosa.

Per aiutare a coltivare l’amore alla Vergine Santa, a venti anni scrisse un libretto per gli “Amanti di Maria” dove propose loro l’esercizio di sette virtù. A ventun’anni ottenne dal Vescovo il permesso di predicare una missione popolare ad Appignano, paese dell’entroterra ascolano. Scelse il periodo di carnevale per offrire un’alternativa evangelica agli inganni dei cattivi divertimenti. Indossò in casa di Tecla Relucenti gli abiti severi e scuri del missionario, per non farsi vedere così vestito dai suoi familiari, poi si incamminò verso il paese a piedi. Si affidò a Dio e alla Vergine Santa e l’esito della missione fu straordinariamente positivo. Predicò in seguito tante altre missioni meritando il pubblico riconoscimento di Missionario Apostolico.

Dopo una preparazione molto accurata, Francesco Antonio fu ordinato sacerdote, sabato 25 febbraio 1741, a soli 23 anni: aveva ottenuto il permesso dal papa a motivo dell’età troppo giovane. L’essere sacerdote gli dava più credibilità per realizzare la fondazione di una Congregazione di suore dedicate a onorare l’Immacolata.

L’amicizia con Tecla Relucenti e la fondazione delle Pie Operaie dell’Immacolata

Tecla Relucenti (23 settembre 1704-11 luglio 1769) fu la prima a essere invitata a condividere il suo grande progetto della fondazione delle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione. Ella, tredici anni più grande di lui e di carattere più posata e concreta, all’inizio gli oppose un deciso rifiuto, ma quando si accorse che quel giovane era guidato da Dio, acconsentì e divenne la sua prima collaboratrice.

Ottenuto il permesso del Vescovo, la mattina dell’8 dicembre 1744, solennità liturgica dell’Immacolata, le prime quattro religiose furono accolte e benedette da don Marcucci nella chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio. Poi processionalmente, circondate da una folla di popolo commosso, fecero l’ingresso nella casa preparata per loro in Via san Giacomo, dove il Fondatore le attendeva per consegnare a madre Tecla le chiavi del monastero, che insieme a suor Maria Dionisia Paci, suor Maria Giacoma Aloisi e suor Maria Caterina Silvestri, formavano la nuova comunità.

La gente vide in quella piccola famiglia religiosa un segno dell’amore di Dio, dopo lo scampato pericolo della guerra e della peste, che tanto aveva preoccupato la città nei mesi precedenti.

L’apertura della scuola

A quei tempi né le ragazze ricche, né quelle povere potevano studiare. Don Marcucci, convinto che la donna “avesse le chiavi della famiglia” e che, se ben istruita, avrebbe potuto rinnovare la società, preparò le suore a diventare maestre. Si adattò con amorevole pazienza alle capacità di ognuna e scrisse per loro vari libri: catechismo, dissertazioni, saggi brevi e articolati, complessi trattati per formare nelle suore una coscienza critica e spingerle in avanti con fede e coraggio. Il 6 marzo 1745, aprì nell’Istituto la scuola per le fanciulle nobili e povere: era la prima scuola femminile della città. Le autorità civili e religiose e tutti i cittadini ammiravano il servizio che le suore svolgevano e ne erano fieri.

Una settimana dopo iniziò il catechismo domenicale per tutte le alunne e le donne della città che lo desideravano. Il Fondatore si fece maestro delle suore e, per aiutarle ad assolvere sempre meglio la missione dell’insegnamento, aprì all’interno della comunità l’Accademiadell’Immacolata Concezione.

 

Vescovo di Montalto Marche

Dopo 33 anni di paziente indefesso lavoro educativo e formativo nell’Istituto delle Pie Operaie e nella chiesa locale, don Marcucci aveva raggiunto notorietà e stima, anche per l’attività culturale che svolgeva e per la pubblicazione di alcune opere che lo rendevano vivacemente partecipe del dibattito culturale che animava le Marche e l’Italia.

Nel maggio del 1770 gli giunse inattesa la nomina da parte di Papa Clemente XIV a Vescovo di Montalto. Chiesta la rinuncia che non fu accolta, don Marcucci accettò e promise al Papa umile obbedienza. A Roma conobbe Padre Paolo della Croce che gli preannunciò che la sua predicazione avrebbe fatto molto bene e sarebbe diventato santo.

Fu consacrato Vescovo, il 15 agosto 1770, nella Chiesa dei Piceni di San Salvatore in Lauro, a Roma e affidò il nuovo ministero all’intercessione di Maria SS.ma.

Il 15 settembre entrò in diocesi, dove fu accolto da tutti con entusiasmo. Cominciò subito a svolgere il governo pastorale con grande impegno ed esemplarità: si era proposto di trasformare la sua diocesi in un giardino spirituale.

Nella Primavera del 1772 iniziò la visita pastorale, raggiunse tutte le parrocchie: animò i fedeli a seguire il vangelo e riorganizzò varie realtà abbandonate.

Nella sua vita privata continuò a essere semplice e povero, parco nel cibo, pulito e modesto negli abiti; anche la sua casa era ammobiliata con grande sobrietà; si vantava di essere un vescovo francescano.

Vicegerente con i Papi Clemente XIV e Pio VI

Il 19 gennaio 1774, mentre mons. Marcucci stava preparando il Sinodo, gli giunse, improvvisa e inattesa, la notizia dell’elezione a Vicegerente.

Con la generosa disponibilità di sempre, mons. Marcucci partì per Roma il 13 febbraio, salutato dalla folla commossa. Mise al servizio del Papa tutte le sue competenze giuridiche, pastorali e culturali e continuò a seguire e a guidare con amore paterno e saggio la diocesi e la congregazione delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, attraverso un fitto rapporto epistolare.

Dopo la morte di Clemente XIV, Papa Pio VI, eletto il 15 febbraio 1775, confermò mons. Marcucci in tutti gli incarichi di fiducia e lo scelse per accompagnarlo a Vienna per trattare con l’Imperatore Giuseppe II. Il Venerabile, sebbene stanco e malato, accettò la delicata missione diplomatica. Il corteo papale partì da Roma il 27 febbraio1782 e vi rientrò il 13 giugno; mons. Marcucci sedette accanto al Papa per tutto il viaggio e gli fu saggio consigliere e confessore; si mosse con grande prudenza, consapevole del clima scettico ed adulatorio della corte imperiale che vanificò i risultati diplomatici della visita. Sul piano pastorale, al contrario, il passaggio del papa suscitò enormi entusiasmi presso la popolazione e confermò tutti nella fede e nella fiducia nella Chiesa.

Attività culturale e pastorale a Roma

Tra tanti faticosi impegni della vicegerenza, mons. Marcucci, non rinunciò alla cura pastorale e all’impegno della formazione culturale, convinto che il peggior male dell’epoca, fosse l’ignoranza, specie religiosa.

Nei 12 anni del periodo romano guidò, nel Palazzo della vicegerenza, a piazza Colonna, l’Accademia Scritturale dell’Immacolata Concezione, alla quale partecipavano illustri studiosi e teologi che avevano contatti con il popolo. Essa offrì una risposta agli attacchi del pensiero libertino e materialista dell’Illuminismo e alle correnti del giansenismo e del giurisdizionalismo; collaborò soprattutto all’elaborazione di un pensiero cristiano aperto alla sfida della modernità e disponibile all’accesso nella Chiesa di nuovi protagonisti, quali le donne e i laici.

Fino alla morte, ebbe il compito di approvare o censurare le opere che venivano pubblicate nella capitale e collaborò con varie Congregazioni religiose.Conobbe i Redentoristi e il fondatore Alfonso M. De’ Liguori (1696-1787) e li sostenne nell’inserimento romano. Svolse anche un ruolo determinante nel riconoscimento della santità di Giuseppe Benedetto Labre, morto a Roma il 16 aprile 1783 a trentacinque anni.

Il ritorno in diocesi e gli ultimi anni accanto alle suore

Le condizioni di salute e il bisogno di cure della diocesi convinsero il Papa Pio VI ad accogliere, il 25 aprile 1786, la sua rinunzia alla vicegerenza,.

Appena la notizia si diffuse, varie personalità romane salutarono e ringraziarono mons. Marcucci per il lavoro svolto al servizio della Chiesa lodando la sua umiltà nel rinunciare ai meritati onori di fine carriera.

Il ritorno nella diocesi giovò solo inizialmente alla sua salute che declinava sempre più; il 9 dicembre 1789 ottenne dal Papa il permesso di risiedere ad Ascoli, in un’ala del convento delle Pie Operaie dell’Immacolata che si era fatto preparare appositamente.

Da lì continuò a guidare la diocesi, dove tornava per le funzioni più importanti, nei mesi più miti dell’anno. Seguì con scrupolo i suoi impegni pastorali fino all’estremo delle sue forze. Il 26 dicembre 1795, nonostante soffrisse acerbi dolori reumatici, scrisse di proprio pugno da Montalto l’ultima relazione sulla diocesi che inviò a Roma. Continuò a svolgere alcune pubbliche mansioni e a prestare servizio alla diocesi ascolana, durante il triennio di sede vacante del Vescovo. Seguì la ristrutturazione e l’ampliamento della fabbrica della casa madre delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione e la costruzione della Chiesa dell’Immacolata e si concentrò nella cura pedagogica e spirituale delle suore, delle educande e delle alunne.

Il ricco epistolario documenta il servizio amoroso che il Fondatore svolse come direttore spirituale, confessore, consigliere e maestro. Dalle lettere si deduce una spiritualità tesa a far vivere nella quotidianità i valori evangelici, a sperimentare la grazia divina, che opera con dolcezza e delicatezza, che aiuta nel miglioramento del proprio carattere e dei rapporti interpersonali, che permette di svolgere al meglio il proprio servizio riconoscendo e valorizzando i talenti umani per darne gloria a Dio, senza dimenticare che ogni conquista richiede il superamento di tante difficoltà.

L’invasione Francese e l’ultima malattia

Nel 1796 Napoleone invase l’Italia Settentrionale e l’anno seguente lo Stato Pontificio. I soldati francesi saccheggiarono il Santuario di Loreto e profanarono molte Chiese. Mons. Marcucci organizzò tridui di preghiere con il popolo e riuscì a salvare dal rastrellamento gli argenti della Cattedrale di Montalto e, per due volte, il famoso reliquiario di Sisto V. Anche Roma fu occupata e furono saccheggiati i tesori d’arte del Vaticano. Il 20 febbraio 1798 Papa Pio VI, ottantaduenne, fu rinchiuso nella fortezza di Valence in Francia dove, logorato dai patimenti fisici e morali, si spense l’anno successivo.

In questa bufera, il 13 settembre 1795, festa del nome di Maria, mons. Marcucci benedisse la Chiesa dell’Immacolata perché fosse per tutti un luogo di preghiera e di rifugio. Considerò un miracolo di Maria Immacolata l’averla potuta ultimare, in situazioni tanto difficili: ripeteva che ciò costituiva “un pegno della grande protezione di Maria”.

In occasione della Pasqua del 1797 tornò in diocesi per celebrare con i suoi fedeli la gioia della Resurrezione di Gesù: fu l’ultima volta: ebbe un nuovo attacco di paralisi e fu  ricondotto subito ad Ascoli, dove sopportò per un anno e mezzo la dolorosa infermità intervallata da lievi riprese. Nelle belle giornate usciva un po’ e il sabato sostava davanti alla Madonna della Pace nella chiesa di S. Agostino per la recita del S. Rosario. Il 21 giugno 1798, fu colpito da un’altra e più grave paresi, che si manifestò con una penosa convulsione e soffocamento di gola. Mons. Giuseppe Menocchio (1741-1823), vescovo agostiniano che si trovava ad Ascoli, in fuga dalla sua diocesi di Bona, gli amministrò il Viatico.

La morte santa

Il 10 luglio, colpito da una febbre altissima e consapevole che ormai la morte era vicina, volle accanto a sé le sue care suore. Le benedisse pensando anche alle postere e chiese l’aiuto delle loro preghiere; benedisse anche tutte le loro alunne, i collaboratori e difensori della sua prediletta Congregazione e i suoi diocesani; promise di non cessare mai di pregare per la salvezza e prosperità di tutti.

Alle ore 6 di giovedì 12 luglio 1798 la sua bell’anima volava verso Dio: aveva 80 anni. Tra coloro che lo assistettero c’era la chiara coscienza della “sua santa morte”.

Il funerale fu fatto secondo l’uso dei poveri, come aveva chiesto. Mancava il vescovo della città Cardinal Archetti, deportato a Gaeta con altri Prelati dai Francesi. Dopo il canto delle esequie da parte dei padri francescani, fu sepolto nella chiesa dell’Immacolata, di fronte all’altare maggiore, come aveva tanto desiderato.

Ora il suo corpo riposa in una cappellina a destra dell’altare maggiore, visitata sempre più frequentemente da tanti devoti che chiedono ed ottengono grazie per sua intercessione.

La via mariana della santità

Il VenerabileFrancesco Antonio Marcucci ha coltivato, vissuto e proposto una forte spiritualità mariana, strettamente inserita nel mistero Trinitario della salvezza.

“Dio ha voluto che noi avessimo ogni graziaper mezzo di Maria”. Questa affermazione di san Bernardo ha orientato ed illuminato tutta la vita del VenerabileFrancesco Antonio Marcucci, che era solito ripetere: «Beato chi si fida di Maria e fa di tutto per piacerle».

Egli ha testimoniato questa beatitudine in modo generoso e intelligente. Si è fatto ritrarre con l’indice che indica Maria, per ricordare a tutti, anche dopo la sua morte, che Ella è mediatrice di ogni grazia. Marcucci lo ha sperimentato nella sua vita, come missionario, fondatore e vescovo, in uno dei secoli più difficili della Chiesa, che si è concluso con il dramma della Rivoluzione Francese.

Mons. Marcucci ha onorato con particolare fervore il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, alla cui definizione dogmatica, avvenuta un secolo dopo, ha offerto un significativo contributo con la predicazione e con gli scritti.

Dal suo grande Amore per Maria Immacolata, il Marcucci ha attinto una speciale carità verso la donna del suo tempo, con una comprensione eccezionale della sua femminilità, della sua dignità e della sua vocazione nella Chiesa e nella società. In modo veramente profetico, egli si è impegnato per la sua promozione integrale, a livello spirituale e culturale, con l’intenzione di formarla colta e santa, lottando contro il male dell’ignoranza che la colpiva particolarmente.

Mons. Marcucci ci lascia un grande esempio di come spendere per il bene degli altri ogni risorsa umana ed ogni talento ricevuto da Dio. Ha sognato in grande e Dio gli ha concesso di realizzare i suoi desideri di bene perché erano anche i suoi desideri.

Papa Pio VIII, immediato successore del Venerabile Marcucci nella Cattedra di Montalto, fece scrivere nella Curia questa epigrafe: “Uomo veramente santo che visse con sobrietà tra tante cariche”.

L’opera del Venerabile Marcucci continua

La vita di mons. Francesco Antonio Marcucci è stata come un terreno buono dove la Parola di Gesù ha germogliato ed ha portato molto frutto, un frutto che dura nel tempo.

Uno di questi è la Congregazione delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, che, nonostante le dure difficoltà affrontate nell’Ottocento, prima con la soppressione francese, poi con lo Stato unitario italiano, si è diffusa in Italia e nel mondo: Brasile, Filippine e Madagascar e continua ad educare “alla vita buona del Vangelo” e alla cultura cristiana migliaia di bambini, di giovani e di famiglie, con particolare attenzione alla donna.

Le Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, consapevoli delle virtù del loro Fondatore e testimoni della crescita della sua fama di santità, ottennero l’apertura dell’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione e canonizzazione, che si svolse presso la Curia vescovile di Ascoli Piceno, dal 1963 al 1968. Il 27 marzo 2010, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la promulgazione del decreto delle sue virtù eroiche. Ora si sta esaminando, presso la Congregazione delle Cause dei Santi, il “presunto” miracolo. Le Pie Operaie si stanno impegnando a far conoscere la figura del loro Fondatore in vari modi e attendono con fervente preghiera, insieme alla Chiesa locale, il dono della sua beatificazione per proporre ai fedeli un esempio di educatore aperto alle sfide della modernità, ardente evangelizzatore e testimone di fede cristallina.

[1]Il testo è stato pubblicato su, Marcucci F. A., Pensieri per ogni giorno, a cura di Maria Paola Giobbi, LEV, Roma 2013, pp. 6-19.